Dare un nome alla propria lingua.

Diverse Manifestazioni del Pluralismo

Patrizia Cordin

Professoressa ordinaria di Glottologia e Linguistica, Dipartimento di Lettere e Filosofia, Università di Trento.

Che lingua parli?

La lingua che ognuno parla è uno degli elementi che concorrono alla definizione identitaria della persona. Riconoscere e denominare la propria lingua (lingua nativa, lingua madre, lingua prima), tuttavia, è un'operazione spontanea e facile solo per un ridotto numero di parlanti, che in famiglia, a scuola e nei contatti sociali usano una stessa varietà, vicina -se non del tutto coincidente- con la lingua standard. Il termine standard, combinato con 'lingua', indica una varietà linguistica codificata che vale come modello di riferimento per l’uso e per l’insegnamento scolastico, e che spesso è considerata come l’unica buona lingua (1). Ammon riconosce sei caratteristiche distintive della lingua standard (2): (a) codificazione, (b) sovra-regionalità, (c) elaborazione, (d) uso da parte delle persone colte, (e) scarsa variabilità, (f) impiego nella scrittura.

Alla lingua standard si oppongono i dialetti, varietà linguistiche che: a) non sono codificate, b) sono locali, c) non sono elaborate, d) sono parlate soprattutto da chi ha una posizione sociale non alta, e) hanno un'alta variabilità, f) hanno un uso tipicamente orale.  Per queste ragioni, il dialetto di solito ha un minor prestigio rispetto alla varietà standard, e per questo motivo un/a parlante non sempre lo dichiara come lingua propria, anche quando il dialetto è per lui/lei la prima lingua parlata in famiglia e usata nella comunicazione quotidiana, specialmente se il riconoscimento è richiesto in un contesto ufficiale, dove sulle varietà locali più pesa la connotazione di inferiorità.

Ogni comunità linguistica è caratterizzata da un repertorio linguistico, cioè da un insieme di più lingue, il cui uso è regolato in base alle diverse funzioni assegnate a ciascuna di esse. Nelle comunità linguistiche spesso la varietà standard si sovrappone a una varietà dialettale, creando una particolare situazione di bilinguismo, nota come diglossia, nella quale le due lingue (o le due varietà linguistiche) sono in un rapporto gerarchico (lingua 'alta' e lingua 'bassa') e complementare. Nelle comunità caratterizzate da diglossia il parlante usa ciascuna delle due varietà in un contesto comunicativo diverso: la varietà 'alta' in un contesto formale (scuola e università, amministrazione della giustizia, liturgia, mezzi di comunicazione) e la varietà 'bassa', che spesso è appresa come lingua di prima socializzazione, in un contesto informale (conversazione familiari e con amici). Come già osservato per i parlanti di varietà locali, anche per i parlanti diglottici riconoscere e denominare la propria lingua può essere una scelta non semplice.

Una situazione simile si ha anche per i parlanti di lingue di minoranza, sebbene questi, rispetto ai parlanti dialettali, si distinguano per la forte consapevolezza di un'identità diversa da quella nazionale, di cui la lingua rappresenta un elemento immediatamente visibile. Nonostante ciò, in alcune situazioni formali nelle quali i parlanti di lingue di minoranza sono invitati a esprimere un riconoscimento prioritario, la loro risposta può indicare la lingua più diffusa e di maggior prestigio anziché la lingua meno diffusa e con minor prestigio.

Quanto più è articolato il repertorio linguistico del parlante, tanto più numerose sono le risposte possibili alla richiesta di assegnare un nome alla propria lingua. La varietà delle lingue a disposizione e dei loro nomi è particolarmente evidente nei complessi repertori linguistici di chi ha vissuto una storia di migrazione (Mioni 1998: 395) (3), dove si combinano lingue (spesso solo orali) di uso familiare, lingue ufficiali acquisite nella scolarizzazione, lingue pidgin, lingue straniere apprese fuori dalla scuola, e dove ogni lingua svolge nel repertorio una funzione diversa, che cambia nel corso del tempo.

 

Le lingue rilevate in un'indagine sulle pratiche linguistiche dei bambini con famiglia immigrata

Per le ragioni sopra esposte, le denominazioni linguistiche alle quali questo contributo fa riferimento sono quelle registrate in un'indagine sulle pratiche linguistiche dei bambini con famiglia immigrata, che è stata recentemente svolta in tutte le prime e seconde classi delle scuole primarie del Trentino (4). Come strumento principale per l'indagine è stato impiegato un questionario molto articolato, finalizzato al rilevamento dei principali elementi in gioco nella formazione della competenza plurilingue: la situazione sociolinguistica familiare, l’età di esposizione e gli anni di esposizione all'italiano, la quantità di esposizione misurata nel dettaglio delle ore della giornata, le fonti dell'input ricevuto sia nella lingua della famiglia sia in italiano. Durante gli anni scolastici 2017-18 e 2018-19 sono stati distribuiti ai genitori 2167 questionari (di cui 1541 sono stati restituiti) in 49 Istituti Comprensivi della provincia.

Il questionario, allo scopo -previsto, ma non raggiunto- di facilitare gli intervistati, era stato tradotto nelle sette lingue ufficiali delle più numerose comunità immigrate nella provincia trentina (rumeno, albanese, arabo, urdu, ucraino, serbo, cinese mandarino) e in tre lingue diffuse per l'istruzione nel continente africano e asiatico (inglese, francese e spagnolo). Tuttavia, per ragioni riconducibili in gran parte alla distanza tra le varietà parlate da chi rispondeva alle domande e le lingue standard nelle quali queste erano state tradotte, la maggior parte dei genitori ha preferito compilare il questionario in italiano. La scarsa richiesta di questionari tradotti nella lingua del paese d'origine contraddice la risposta a una domanda specifica del questionario sulla competenza nella lingua nativa di chi si prende cura del bambino: oltre il 90% dei genitori dichiara di saper leggere e scrivere bene nella sua prima lingua, che spesso nelle risposte coincide con una lingua ufficiale del paese d'origine, mentre meno del 70% riconosce di avere una buona competenza nella lettura e nella scrittura della lingua italiana.

La preferenza per i questionari scritti in italiano è motivata dai cambiamenti che dopo la migrazione avvengono nel repertorio linguistico degli immigrati. Secondo Berruto, nel repertorio interno post-migrazione si avrebbe una riduzione da tre livelli gerarchici (alto, medio, basso) a due soli livelli: l'italiano verrebbe a occupare il livello più alto, insieme alla lingua alta del repertorio originale (di solito una lingua coloniale), mentre le lingue medie sarebbero spesso declassate a lingue basse, e alcune lingue di minor prestigio potrebbero essere abbandonate (5). La posizione dell'italiano al livello più alto motiverebbe la scelta di questa lingua in situazioni di confronto pubblico e istituzionale, qual è la compilazione di un questionario proposto dagli istituti scolastici.

Negli oltre millecinquecento questionari consegnati vengono dichiarate più di cento lingue usate in famiglia. Quelle registrate in percentuale maggiore riflettono abbastanza fedelmente la numerosità dei gruppi nazionali d'immigrati residenti nella provincia di Trento: l'albanese -indicato in un solo questionario con il nome originale gjuhën shqipe- ha il più alto numero di attestazioni (271), seguito dal rumeno (259), dall'arabo (248), dallo spagnolo (110), dall'urdu (67), dal portoghese (44), dal russo (37), dall'inglese (33), dal tedesco (31), dal macedone (30), dal serbo (26), dal cinese (25) (6).

Le numerose denominazioni linguistiche comprendono nomi che fanno riferimento alle lingue nazionali (come rumeno, albanese, polacco), anche quando queste corrispondono a varietà regionali (kossovaro, macedone, moldavo, bosniaco, serbo, croato). Altri nomi, invece, indicano una lingua sovra-nazionale (arabo, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese). Un doppio livello di riferimento è espresso da molti nomi sintagmatici, che nella combinazione esprimono la lingua e il paese in cui questa è parlata (bissa francese, arabo egiziano, arabo tunisino, indiano inglese, urdu pakistano, brasiliano portoghese, kosovaro albanese, moldavo romeno, creolo mauriziano). Per i paesi dove più lingue hanno un riconoscimento ufficiale, il nome coincidente con il solo aggettivo etnico riferito al paese d'origine non è sufficiente per l'identificazione della lingua parlata in famiglia (lingua indiana, pachistano, senegalese, ghanese).

Merita attenzione, inoltre, il fatto che genitori provenienti da uno stesso paese dichiarino spesso lingue diverse, non solo perché provengono da aree dove si parlano varietà regionali e dialetti diversi, ma perché i parlanti spaziano in modo soggettivo sui tre livelli gerarchici del repertorio linguistico comunitario (alto, medio, basso). La soggettività della scelta del livello su cui collocare la lingua che si riconosce come propria è evidente in particolare nelle risposte dei genitori provenienti dal Ghana: alcuni, come già osservato, indicano il ghanese (che potrebbe essere la traduzione italiana incompleta di Ghanaian English) (7), altri l'akan (la più importante lingua indigena in Ghana, che appartiene al gruppo kwa della famiglia Niger Congo), altri le due varietà dialettali dell'akan, il twi e il fante, e altri infine i dialetti costieri ada akan.

Si nota infine che sul totale delle denominazioni linguistiche il numero delle varietà regionali e dialettali è in netta minoranza. Spesso tali nomi ricevono un'unica attestazione, come avviene per il catalano, per le varietà dell'arabo marocchino amazigh, berbero, darigia e tacelhit, per il fante parlato in Ghana, per il lingala (lingua bantu parlata in Congo), per il mandingo e il pulaar (lingue parlate in molti paesi dell'Africa occidentale).

 

Note conclusive

La ricerca trentina suggerisce alcune considerazioni generali sulla complessa varietà dei repertori linguistici e sulla difficoltà d'identificazione e denominazione della propria lingua al loro interno. In particolare:

- la preferenza delle famiglie immigrate per il questionario scritto in italiano rispetto a quello tradotto nella lingua ufficiale dei paesi di provenienza conferma che nel repertorio linguistico dei migranti la lingua del paese d'arrivo va a occupare una posizione alta;

- il contesto formale (scolastico) spinge la maggioranza dei genitori a dichiarare come lingua parlata in famiglia una lingua nazionale o sovra-nazionale, forse anche nei casi in cui chi compila il questionario abbia la consapevolezza che la lingua usata corrisponda in realtà a una lingua regionale o a un dialetto;

- la competenza plurilingue nelle famiglie immigrate è sempre complessa e dinamica.

I dati raccolti contribuiscono dunque a togliere forza all'idea -ancora viva- di parlanti con una sola lingua madre corrispondente a una sola varietà (standard), che Gardner-Chloros chiama "mito del monolinguismo":

 

The myth of monolingualism in Europe is such that the first preconception which has to be put right is that migrants have a single mother tongue which they have brought over from their country of origin, which corresponds to what is taught in the schools of that country and which is a standardized variety which they need only ‘maintain’. (Gardner-Chloros 1997: 212) (8)

1. Berruto, Gaetano (2010), Italiano standard. Enciclopedia dell'italiano Treccani; http://www.treccani.it/enciclopedia/italiano-standard_(Enciclopedia-dell%27Italiano)/.

2. Ammon, Ulrich (1986), "Explikation der Begriffe ‘Standardvarietät’ und ‘Standardsprache’ auf normtheoretischer Grundlage". In: G. Holtus & E. Radtke (eds.), Sprachlicher Substandard, Tübingen, Niemeyer, 1986-1990, 3 voll., vol. 1º, pp. 1-62.

3. Mioni, Alberto (1998). “Gli immigrati in Italia. Considerazioni linguistiche, sociolinguistiche e culturali”. In: Bernini G., Cuzzolin P. & Molinelli P. (a cura di), Ars linguistica. Studi offerti da colleghi e allievi a Paolo Ramat, Roma, Bulzoni, pp. 377– 409.

4. La ricerca è frutto di una collaborazione tra IPRASE, Università di Trento e Bilinguismo conta (https://r1.unitn.it/bilinguismoconta/). Cfr. Arici, Maria / Cordin, Patrizia / Masiero, Giovanna / Vender, Maria & Virdia, Simone (2020). “Che lingue conosci, ascolti, parli? Una ricerca sugli usi linguistici dei bambini plurilingui”. Italiano linguadue, 1, pp. 307-329; https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/issue/view/1572

5. Berruto, Gaetano (2009). “Ristrutturazione dei repertori e ‘lingue franche’ in situazione immigratoria. Appunti di lavoro”.  Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata, 38, 1, pp. 9-28.

6. I residenti non italiani nella provincia di Trento nel 2019 provengono da: Romania 22,1%, Albania 11,8%, Marocco 8%, Pakistan 6,2%,Ucraina 5,4%, Moldavia 5,0%, Macedonia 4,6%, Cina 2,%%, Polonia 2,4%. https://www.tuttitalia.it/trentino-alto-adige/provincia-autonoma-di-trento/statistiche/cittadini-stranieri-2019/

7. Il termine potrebbe anche indicare il Ghanaian Pidgin, sebbene questa varietà sia molto stigmatizzata in Ghana. Cfr. Guarini, Federica (2006). Language Alternation Strategies in Multilingual Settings. A case study: Ghanaian Immigrants in Northern Italy, Bern, Peter Lang.

8. Gardner-Chloros, Penelope (1997). “Vernacular literacy in new minority settings in Europe”. In: Tabouret-Keller A. et al., (eds.), Vernacular literacy: A re-evaluation, Oxford: Oxford University Press, pp. 189-221.

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